lunedì 24 maggio 2010

L'orgoglio di una tribù.

Era da un pò che meditavo di scrivere un nuovo articolo e forse stasera è arrivato lo schiaffo giusto a svegliarmi dal torpore del sonno e della pigrizia.
Parlando della mia tribù, di MILANIMAL, ho letto: "[..] in un contesto dove ci si decora di triviali effigi di cani da combattimento, richiami al mondo bestiale degli animali, appellando ognuno con nomignoli più o meno lesivi della persona [..]" e "[..] non desidero vedere apparire in un Dojo effigi volgari di cani con cui nulla abbiamo a che spartire, e richiami alla animalità che non ci appartengono in alcuna maniera [..]".
Non perdo tempo a spiegare chi ha scritto queste frasi e perchè lo abbia fatto. Mi preoccupo solo di investire tutte le mie energie per parlare ai pochi che leggono questo blog e raccontare loro un pò della storia di MILANIMAL.
MILANIMAL è la mia tribù. La tribù di Gianfranco, 76 anni e lottatore solo da 4. La tribù di Bahiano, per metà tutsi e studente al Politecnico. La tribù di Rostok, che ama lottare ma ancora di più sollevare acciaio pesante. La tribù di suo fratello Junior, che mi avrà sistemato le ossa almeno un centinaio di volte. La tribù del Fudo, un gigante di 115kg che a tutti i costi vuole imparare a lottare. La tribù di Luc, spirito francese nei tratti di un maghrebino. La tribù di Voodoo, vegetariano in pace con il mondo. La tribù del mio amico Jacopo, medico, motociclista ma più di tutto sognatore. E potrei continuare per ore.
In una tribù si parla la stessa lingua e il patto sociale impone a tutti di non venire mai meno a certe regole, l'onesta e la fiducia reciproca. Una tribù non è uno stato. Non ci sono rappresentanti. Ognuno rappresenta se stesso.
Io amo pensare che MILANIMAL sia la scintilla della rivoluzione, quel moto dell'anima che tenta ogni giorno di sovvertire con forza l'ordine imposto dalla televisione, dalla pubblicità, dalla mediocrità della gente volgare.
Io credo nella forza di chi dice la verità, di chi ama togliere e non aggiungere, di chi sa distinguere tra varie sfumature di grigio e non si limita a pensare al mondo in bianco e nero.
Mi illudo alle volte di regalare un pò di questo agli altri quando sto con loro sul tatami. Non voglio che imparino a lottare per combattere qualcuno. Vorrei solo farli tornare indietro nel tempo. Quando per cibarsi bisognava cacciare. Quando le prede erano più forti dei cacciatori stessi. E far parte di una tribù era l'unico modo per sopravvivere. Quando bisognava unire le forze. Fidarsi gli uni degli altri.
Il simbolo della mia tribù non è un cazzo di ideogramma giapponese. Non è lo stemma di un samurai o di un soldato mandarino di non so quante centinaia di anni fa. Io sono nato a Milano, a pochi passi dalla Stazione Centrale, nel 1978 e di giapponese in quegli anni nella mia città non c'erano nemmeno i ristoranti. Non ho mai pensato di dovermi ispirare a chissà quale eroe del passato. Ho pensato subito invece che il mio Güntherino fosse perfetto. Un bastardino di 8 kg, buono come il pane, pieno di amore per il suo padrone, fedele come non è mai stato nessun samurai o surrogato del genere nei confronti del suo signore. Lui per me era (..ed è ancora!!) il simbolo giusto per la mia tribù: uno spirito puro!!
Quella toppa che tengo cucita sulla schiena del mio kimono trasuda amore. L'amore di Mario che in un giorno di sole mi ha suggerito quel nome. L'amore di Roberto che mi ha regalato quel disegno. L'amore di Olga che ha passato una notte davanti al suo Mac per darmi la prima toppa. E l'amore di tutti quelli che continuano a cucirsela addosso.
Per quel simbolo ho attraversato una decina di volte l'oceano, mi sono fatto prendere a calci fino allo sfinimento ma non ho mai fatto un passo indietro nemmeno per prendere la rincorsa.
Io resterò a vita con la mia tribù: MILANIMAL.