Copa do Mundo - Niterói (RJ), 2006 |
Assistere oggi ad un campionato di jiu-jitsu tutto ricorda tranne lo spirito originario dell'arte suave: combattere! Il regolamento è lo stesso da quasi quarant'anni eppure basta spostarsi agli anni '80 e cercare su YouTube qualche video per rendersi conto di quanto sia cambiata la strategia, il ritmo e la tecnica dei lottatori impegnati sulle materassine dei tornei più importanti. Incrociare e passare in rassegna minuto per minuto la finale del '98 tra Draculinho e Royler Gracie (Guarda il video su Youtube) e quella dell'ultimo Mundial tra Tanquinho e Rafael Mendes (Guarda il video su BJJfights.com) credo sia una buona citazione anche per uno studioso/studente poco esperto.
Le norme che regolano il jiu-jitsu sportivo sono poche (Leggi il Regolamento del Jiu-Jitsu Brasiliano). Spiegano bene come vincere e lasciano all'atleta il compito di decidere come. Le basi gettate ormai quarant'anni fa dalla crema dell'arte suave dell'epoca non credo stiano più al passo coi tempi e la voglia sfrenata di vincere tutto e tutti a discapito di imparare a combattere ha segnato il passo definitivo del jiu-jitsu sportivo nell'era moderna. Credo però che basterebbe poco per riportare a galla lo spirito originario e marziale:
- La prima modifica che farei al regolamento sarebbe quella di togliere i vantaggi! Non completamente. Li lascerei solo nel caso di finalizzazioni scampate o a detrimento dell'atleta falloso nei casi contemplati dal regolamento in vigore. Una manovra del genere servirebbe soprattutto a concentrare gli sforzi dell'atleta nella costruzione e nel raggiungimento della finalizzazione!
- La seconda modifica sarebbe quella di ammettere, all'inizio solo per le cinture nere ma poi per tutti i gradi, qualsiasi tipo di finalizzazione. Brutale e impopolare ma decisamente in pieno accordo con lo spirito marziale della pratica del jiu-jitsu. Arrendersi, battere, applaudire all'avversario fa parte della formazione di qualsiasi lottatore.
- La terza ed ultima modifica sarebbe quella di proibire all'atleta di comunicare in qualsiasi modo, parlando o facendo gesti, con l'arbitro, con l'allenatore o coi tifosi. L'area di gara non dovrebbe mai diventare un palcoscenico ma solo lo spazio destinato all'incontro/scontro di due lottatori.