domenica 21 marzo 2010

Cronaca di un sabato da lottatori veri.

Si è appena svolta l'ultima edizione del Torino Jiu-Jitsu Challenge, forse uno dei campionati di jiu-jitsu più longevi qui in Italia. Tre materassine effettive e brulicanti di atleti. Tre arbitri e uno staff di prim'ordine. Il palazzetto, sede anche dell'edizione dello scorso anno, è accogliente e si presta bene ad ospitare una manifestazione del genere. Io, come insegnante, mi ritengo molto soddisfatto dei miei ragazzi. Come al solito, alcuni hanno portato a casa una bella medaglia e altri, invece, si sono leccati solo le ferite. Tutti hanno lottato con tenacia, tecnica e rispetto. Si sono preparati seriamente e hanno sudato per arrivare sul tatami pronti!! A tutti loro, come al solito, vanno le mie congratulazioni. Da Junior, medaglia d'argento nella categoria OPEN e alla sua prima competizione nelle cinture marroni, fino alle ultime cinture bianche arrivate in palestra. Il sudore e la fatica sono le stesse per tutte le categorie di peso e senza distinzioni di grado.
Esauriti i convenevoli e le questioni interne alla "familia", ne approfitto per fare alcune considerazioni. Pensieri liberi ma motivati sul regolamento, l'arbitraggio e gli ufficiali di gara. A mio avviso, l'articolazione più importante dello scheletro di un campionato di jiu-jitsu.
Prima di tutto è necessario parlare delle regole del jiu-jitsu brasiliano sportivo. Non sono molte e si trovano facilmente in rete anche in una traduzione in italiano "Regole e regolamento. Guida al jiu-jitsu brasiliano sportivo per atleti agonisti e amatori." di un paio di anni fa. In quella trentina di pagine sono indicate tutte le regole di questo sport. Tutti i casi non menzionati in modo specifico, devono essere amministrati dall'arbitro a sua esclusiva discrezione. Sono indicati i punteggi. Le specifiche e le restrizioni sull'abbigliamento. Le sanzioni. E le restrizioni tecniche. In pratica, il regolamento abbraccia la maggior parte delle questioni tecniche, lasciando però da parte l'etica e l'educazione di arbitri stessi e lottatori.
Per quanto mi riguarda, così nel jiu-jitsu come nella vita, le regole più importanti non credo si trovino scritte da qualche parte e credo facciano parte solo di una piccola parte della comunità. Sono l'onore, il rispetto e l'educazione.
L'arbitro, per me, non solo ha il dovere di conoscere alla perfezione il regolamento e i suoi margini di applicabilità e quindi tutto quell'insieme di norme scritte che regola la "società del jiu-jitsu brasiliano sportivo", ma deve anche, direi soprattutto, tenere a mente tutto quell'insieme di regole non scritte, quei codici morali che possono decretare l'evoluzione o l'involuzione di una pratica sportiva.
L'arbitro, in base al grado degli atleti che si trova a giudicare, deve porsi come obiettivo quello di tutelare l'integrità fisica dei due partecipanti, nel caso delle cinture più basse, o l'evoluzione tecnica di questo sport, nel caso delle cinture più alte. Mi spiego meglio. Arbitrare due cinture bianche o blu, vuol dire avere sul tatami due atleti che da poco calcano le materassine e il cui unico fine deve essere quello di testarsi in un campionato e ritornare ad allenarsi subito dopo in palestra. Questo, per me, si traduce in un'attenzione massima, il cui unico scopo non è tanto quello di assegnare nel modo più corretto i punti, ma quanto di evitare ad entrambi infortuni inutili - che possono allontanarli definitivamente da questa pratica sportiva!! - e di educarli ad una pratica sportiva eticamente corretta. Avere, invece, davanti due cinture marroni o addirittura nere, vuol dire avere a che fare con un atleta fatto e finito, conscio dei rischi che corre in determinate posizioni e ligio all'unico dovere di combattere fino alla fine per vincere. In questo caso, l'arbitro è una comparsa silente che non ha il dovere morale di tutelare nessuno. Scegliere tra un braccio rotto e una medaglia, ora, è compito dell'atleta e non più suo.
Questo per me vuol dire essere un buon arbitro.
Non è solo questione di regole.
Le regole affondano le loro radici nell'educazione. Dei partecipanti e dei giudici. Chi veste un kimono e sceglie di andare a combattere dovrebbe sempre ricordarsi che una condotta morale disdicevole non solo pregiudica il suo successo, ma getta fango sul nome della sua accademia, del suo Maestro e, secondo me ancora più grave, sui suoi compagni d'allenamento.
Queste regole, non scritte, non so dove o come s'imparino. Non so esattamente quante siano. Ma so che sono fondamentali per la crescita di questo sport. E non solo.
Ho conosciuto cinture nere che non sapevano nemmeno della loro esistenza e cinture bianche, anzi blu da poco, che meglio di chiunque altro le onorano tutti i giorni..
Bravo, Loris..