Vestire il kimono per la prima volta, stringere la cintura bianca in vita e salire sulla materassina con una manciata abbondante di lottatori esperti e puntualmente più grossi non è facile. Ci vuole coraggio.
Di norma, il fastidio per chi smette gli abiti da lavoro "milanesi" - una volta tute da metalmeccanico, oggi cardigan di cachemire e camicie di cotone da collaboratore laureato - e si avvicina a questa sorta di accappatoio di corcoro per la prima volta è visibile anche all'occhio meno esperto. Taglio pessimo. Vestibilità azzerata. Tessuto scadente e aspro sulla pelle. In pratica, il contrario del vecchio slogan pubblicitario "lana fuori, cotone sulla pelle". Qui è una sorta di carta vetrata fine fine sia fuori che dentro. Il primo enigma da risolvere, però, è quello della cintura. Una sorta di corda da tapparella da legare in vita per chiudere la giacca della nuova divisa. Nella mia vita marziale ho visto di tutto. Da una perfetta gassa d'amante, la regina dei nodi marinari, alla classica galla da pacco regalo natalizio. Niente da fare. Per un buon nodo basta armarsi di sana pazienza e in un paio di lezioni si risolve tutto. Il secondo ostacolo da superare, una volta vestiti di kimono nuovo, è l'avventurarsi in un luogo sconosciuto e inesplorato: il dojo. Oggi, un po' per moda e un po' per la naturale evoluzione dei tempi, il dojo, il luogo dove ci si esercita e si impara l'arte del combattimento, assomiglia più ad una discoteca che non al luogo sacro per i marzialisti degli anni '70. Musica. Andirivieni continuo di gente di ogni età. Costumi di tutti i tipi. Mi ricordo della mia prima volta. Alto così poco da non dover ancora pagare il biglietto della metropolitana, entrai, mano nella mano, con mia madre in quello che doveva essere l'ex cinema parrocchiale, all'epoca il Nippon, sede storica milanese per tutto quello che era judo e aikido. L'odore non era certo quello che avrei riconosciuto anni più tardi in una fragranza Diptyque per l'ambiente e le luci al neon sembrava mi avessero consumato la vista di colpo. Ogni cosa era invasa dall'umidità.
Rimasi a bocca aperta. Oggi, per un bambino di 5 anni, non basterebbe nemmeno un weekend a Eurodisney.
Penso a chi si avventura, in questo primo mese di pratica - settembre - sul "mio" tatami per iniziare. Non saprei cosa suggerirgli per convincerlo ad arrivare fino in fondo. L'unica cosa che mi viene da dirgli è di divertirsi.
Impara. Ma sopra ogni cosa cerca di divertirti.
Poche regole da seguire con scrupolo e intelligenza:
- Divertiti. Lascia il tuo ego e la tua voglia di arrivare primo sempre nel fondo del cesso del tuo ufficio. Qui non sei al lavoro e nessuno ti chiederà mai il conto. Sarai tu un giorno a tirare una riga e a chiederti dove e come ci sei arrivato.
- Rilassati. Fare jiu-jitsu non vuol dire armarsi per un conflitto a fuoco e nemmeno prepararsi alla trincea. Il tuo compagno d'allenamento non è il tuo nemico. E' tuo amico. Aiutalo e sicuramente ti sarà riconoscente. Sempre.
- Svegliati. Se sei l'ultimo della fila, nella vita come nel dojo, hai solo due scelte da fare. O te ne vai subito e non stai a perdere altro tempo. O, alla prima occasione, passi avanti. Così fino ad essere tu il primo e, per farlo, devi essere recettivo, intelligente, attento. Smart direbbero gli inglesi. Se hai voglia di riposarti, vai alle terme o iscriviti ad un corso di yoga. Non venire a fare jiu-jitsu. Se hai bisogno di dimenticarti del tuo capo, di tua moglie, del tuo direttore di banca, del mutuo o del vicino di casa petulante, allora, non c'è modo migliore che sfruttare gli ultimi tre quarti d'ora di una lezione qualsiasi di lotta e aspettare che il primo bisonte dalle sembianze umane ti venga addosso come un treno in piena corsa. Non hai tempo di pensare al superfluo. Devi batterti e cercare almeno di sopravvivere.
- Non perdere tempo. E non farlo perdere agli altri. Da insegnante, dico che fare lezione a trenta persone - di nazionalità diverse, ceto sociale diverso e competenze tecniche diverse - sparse su cento metri quadrati abbondanti è molto complicato. Faticosissimo. Bisogna dare a tutti la giusta attenzione. Agli studenti più avanzati e a quelli alle prime armi. A ciascuno una sfumatura diversa della stessa tecnica o sequenza. Tutti vengono per imparare. Quindi, da studente, se non hai voglia di perdere tempo e opportunità, ogni volta che un "anziano", primo fra tutti il Maestro, ti impartisce un comando, eseguilo nel più breve tempo possibile. Manifestare perplessità e discutere senza avere le competenze necessarie è il vizio della democrazia moderna. Quella che vuole gli adolescenti imparare dalle chiacchiere di Costantino Vitaliano e Fabrizio Corona e non dai veri grandi del nostro tempo. Filosofi, esploratori e scienziati.
- Studia. Cerca di capire cosa stai facendo. Il perchè delle cose. Solo allora potrai veramente manifestare i tuoi dubbi. Solo dopo aver perso tempo cercando potrai dire: "Ho trovato!". Prendi esempio dai più bravi. Imitali con tenacia in tutto e per tutto, cercando la tua via.
- Cura il tuo corpo. Fare jiu-jitsu vuol dire esprimersi secondo natura. Usando l'energia in modo intelligente. "Minima spesa, massima resa". Mangia nel modo più salutare possibile. Riposati. Esercitati con regolarità. Conduci una vita sana. Non solo migliorerà il tuo jiu-jitsu ma anche il tuo stesso modo di vivere.
- Confrontati sempre. Il confronto è il modo più diretto e crudele per conoscersi. Per capire a che punto si è arrivati e di che pasta si è fatti. Non si tratta di vincere o perdere. Nella vita, alla fine, conta solo non aver perso. Sali sul tatami ogni giorno chiedendo a te stesso un pò più di quello che hai avuto il giorno prima. Confrontati con i tuoi compagni d'allenamento in palestra così come con altri al campionato. Fallo in pace con te stesso. Con l'unico obiettivo di essere domani migliore di quello che sei stato oggi.