lunedì 13 giugno 2011

Chega de saudade.

Gargamel, Ratinho e Andrea Baggio - Praia do Pepe (Rio de Janeiro), 2006
E' domenica. Sono le undici del mattino. A Rio piove ormai ininterrottamente da un paio di giorni. La città è ferma. Poche macchine per strada. Gli autobus si muovono lenti come ippopotami nel fango. Anche i venditori ambulanti che di solito si accalcano intorno alle uscite della metropolitana, stamattina non si sono fatti vivi.
La pioggia, quando bagna la baia di Guanabara, riduce in polvere ogni forma di vita così come la kryptonite ridurrebbe Superman a un semplice Clark Kent qualsiasi.
Giro con un braccio al collo ormai da qualche giorno e il dolore non smette di bussare in testa. Di notte dormo male e di giorno vivo peggio. Mi fermo lungo la strada per una tapioca e un succo di frutta.
A un isolato di distanza si intravedono i primi capannelli di gente. Lottatori che escono imprecando in tutte le lingue. Chi a petto nudo ancora madido di sudore e chi, invece, coperto come se stesse affrontando una spedizione nell'Artico. Tifosi, curiosi, venditori ambulanti e massaggiatori abusivi. Si muovono tutti come formiche impazzite intorno a un buco. Anche l'odore di asfalto bagnato ha fatto posto al peggior miscuglio di sudiciume e vapori di cibo fritto.
Conosco il percorso a memoria. E' da quasi una settimana che faccio sempre la stessa strada. Esco dalla metropolitana e mi inerpico lungo la salita che porta al Tijuca Tênis Clube. Il complesso sportivo è smisurato. Piscine, campi da calcio, tennis e basket, palestre per la ginnastica olimpica e spazi di aggregazione per i giovani di tutta la zona nord di Rio de Janeiro. In tutto si conta più di un isolato.
Per capire da quale parte sia l'ingresso basta affidarsi al fiume di gente che, senza interruzione, entra ed esce da una porticina laterale.
Metto il naso dentro e l'aria sembra subito irrespirabile. Densa e calda. Non passano cinque minuti da quando sono entrato che tutto il corpo viene avvolto da una pellicola trasparente di sudore che se ne andrà solo a fine giornata con una bella doccia calda.
Un mosaico verde e giallo di pannelli ad incastro, di quelli che si usano per la lotta, riveste tutto il pavimento. Le pareti trasudano unto e umidità. Sono grigie. Stinte e incrostate agli angoli.
Per arrivare dalla parte opposta rispetto all'entrata e guadagnarmi un posto a sedere proprio in prima fila, incrocio almeno una ventina di energumeni. Ad ogni scontro il mio braccio, già malconcio, ne esce sempre più provato. Sfinito, finalmente mi siedo. Prendo fiato e cerco di tenere a bada il dolore. Vorrei dell'acqua ma preferirei morire di sete piuttosto che lasciare il mio posto a qualcun altro.
Gli altoparlanti esplodono senza sosta come petardi e la sinfonia di urla, tonfi e grugniti inizia a prendere forma. La luce e fioca. Illumina appena l'arena. I primi lottatori si danno il cambio in modo ordinato. Si muovono con tanta grazia, precisione e velocità che i piedi non hanno nemmeno il tempo di sporcarsi. Esausti non danno mai segno di cedimento. Alcuni sembrano serpenti. Fasciano per intero il corpo dell'avversario fino a farlo sparire. Con pazienza guadagnano un centimetro alla volta. I muscoli sono tutti tesi. La fronte è aggrottata e perfino le dita dei piedi si sforzano di non perdere la presa. Altri, invece, saltellano come ballerini che si scaldano prima dello spettacolo. Sembrano fragili e girano intorno all'avversario quasi senza toccarlo. Alle volte, nemmeno occhi allenati come i miei, riescono a capire cosa stia succedendo nella realtà. Basta distrarsi per una frazione infinitesima di secondo e già passano i titoli di coda, come se il televisore fosse stato colpito all'improvviso da una scarica elettrica e, senza spegnersi o esplodere, fosse passato semplicemente ad un altro canale.
Col passare delle ore un miscuglio strano di tristezza e speranza mi stringe lo stomaco. Non ho più nè fame nè sete. Perfino il braccio sembra farmi meno male. Roger e Xande sono impalati uno di fronte all'altro a poco più di una manciata di metri da me. Li vedo bene. Battono i piedi a terra così forte che sembrano due rinoceronti pronti a scornarsi. Anche il pezzo di plastica su cui sono seduto da ore, scomodo e madido del mio sudore, sembra tremare sotto i colpi di tamburo dei due colossi.
Anche per loro sarà l'ultima volta. A Rio.
Xande Ribeiro vs Roger Gracie - Mundial 2006: questo è stato l'ultimo incontro di jiu-jitsu ospitato al Tijuca Tênis Clube in occasione di un Mundial. Io ero seduto appena dietro gli spalti. Dal 2007, il primo weekend di giugno, i migliori lottatori di tutto il mondo si ritrovano alla piramide di Long Beach per darsi battaglia.