Insegnare significa caricarsi di una responsabilità enorme. "Incidere" nella mente di chi impara i primi segni, le prime regole, vuol dire iniziare un cammino che farà vedere i primi frutti solo dopo molti anni. Mi guardo intorno e oggi vedo più insegnanti mediocri in cerca di nuovi discepoli che non allievi meticolosi che hanno bisogno di buoni insegnanti. Vorrei che in qualche maniera si fermasse questa emorragia di pessimi "professori" prima che sia troppo tardi ma credo resterò deluso e, alla fine, sarò obbligato ad accettare l'ennesimo torto.
Non ho trovato da nessuna parte il manuale del buon maestro o la lista delle cose da fare una volta salito sulla materassina con quasi una trentina di persone davanti ad ogni lezione. So con certezza di aver iniziato troppo presto, nel 2001, quando ancora spiegare voleva dire "imparare per la prima volta" e che, alla fine dei conti, non si insegna mai quello che si vuole, quello che si sa o quello che si crede di sapere, ma si riesce ad insegnare solo quello che si é.
P.S.: Renato Paquet, oltre ad essere stato per due volte campione brasiliano di boxe, é uno dei pochi Grandi Maestri (Cintura rossa, 9° Dan) di jiu-jitsu ancora in vita. L'ho conosciuto nel 2005 sulla materassina dell'accademia AXKE a Barra da Tijuca, la mia "casa" a Rio de Janeiro. Solido come un albero piantato per terra, a quasi ottant'anni suonati, ha lottato per una ventina di minuti e, alla fine, ne ha spesi altrettanti per correggermi. Le sue ultime parole sono state: "Essere un faixa preta vuol dire essere disciplinati, avere delle regole. Farle rispettare ad ogni costo é il compito di un buon maestro."
Me lo ricordo come fosse oggi.